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L’esordio del 18enne che un giorno sarebbe divenuto il Black Mamba del basket mondiale 

Sembra ieri, eppure sono già passati 25 anni da quell’esordio che ha cambiato completamente l’universo del basket. L’esordio in questione è quello di Kobe Bryant, rimpianto artista della pallacanestro che ci ha sì lasciato troppo presto ma almeno ci ha lasciato qualcosa di importante da condividere con gli altri e da custodire gelosamente per sempre all’interno dei nostri cuori. L’amore per la professione, la dedizione per il raggiungimento di obiettivi che sono alla portata di tutti, ma solo se ci si crede fino in fondo e, non da ultimo, la volontà di provare a superare ogni limite, perché i limiti, secondo Black Mamba, non sono altro che concetti astratti, paletti della nostra mente facilmente aggirabili. Tale tesoro di inestimabile valore è il suo lascito per tutti gli amanti della pallacanestro, il frutto di anni trascorsi a calcare con onore e serietà tutti i parquet NBA, nessuno escluso, con quella gloriosa maglia gialloviola dei Los Angeles Lakers addosso. Non una maglia qualunque, sia chiaro, ma un vessillo che dall’alto della sua bravura ha sventolato con fierezza almeno 5 volte, tanti sono stati gli anelli da lui conquistati. Un campione insomma, e questo lo sanno proprio tutti, però dal volto umano, che merita di essere ricordato anche oggi, dopo quel tragico gennaio del 2020 che lo ha strappato via troppo presto dalla sua amata palla arancione. E per farlo desideriamo dire qualcosa del suo primo giorno in NBA, che senza volerlo ha cambiato completamente l’universo del basket. 

Tutto ebbe inizio contro i Minnesota Timberwolves 

6 minuti e 22 secondi: tanto durò l’esordio in NBA di Kobe Bryant contro i Minnesota Timberwolves il 3 novembre 1996, un esordio senza punti ma non certo privo di emozioni per quel giovane cestista, allora 18enne, che da lì a qualche anno sarebbe diventato il più forte in assoluto. Da guardia non certo timida ma nemmeno troppo navigata divenne presto un’abile e letale guardia tiratrice e infine l’insuperabile Black Mamba che tutto il mondo ha conosciuto e ammirato, una macchina da canestri, fortissima in attacco ma anche abile in difesa, forse non come l’eccentrico Dennis Rodman, un pilastro dei Bulls dei record, ma poco ci manca. Sì perché per ben 12 volte in carriera Kobe Bryant è stato nominato per far parte di uno dei due quintetti All-Defense. Ovviamente a votarlo non siamo stati noi ma quegli allenatori che ne hanno apprezzato la fisicità adoperata per contrastare l’avversario di turno, ma anche quell’intelligenza tattica che arrivava lì dove certe volte non arrivava quella fisicità. E quasi certamente nessuno si sarebbe mai aspettato tanto da quel 18enne che contro i non straordinari Minnesota Timberwolves nel 1996 non mise a referto nemmeno un punto. Poi si è decisamente ripreso, considerando che i punti totalizzati da Bryant ammontano a un totale di 33643 nel corso di 1346 partite giocate.

Amici/nemici 

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Kobe Bryant, si sa, è divenuto leggenda perché amava la competizione e soprattutto perché desiderava ardentemente essere il numero uno in assoluto ogni giorno, tutti i giorni. E se in squadra non ci fosse stato un certo Shaq, amico/nemico di sempre che come lui indossava con fierezza la maglia dei Lakers, quest’anno favoriti per quanto riguarda la vittoria del titolo, forse la voglia di primeggiare del numero 24 non sarebbe stata così intensa come quella ammirata per più di 20 anni. Il loro rapporto burrascoso resta negli annali, ed è proprio l’amore e odio tra i due che ha dato quello sprone in più a Bryant per diventare quel rettile velenosissimo che sul parquet è stato in grado di fare sua ogni preda che abbia mai osato pararsi tra lui e il canestro. Insomma, 25 anni fa, e precisamente il 3 novembre 1996, quel ragazzo poco più che maggiorenne non sapeva ancora che un giorno alcuni incontri avrebbero segnato indelebilmente la sua vita da professionista. E quello con Shaquille O’Neal è stato uno di questi.