“Da qualche mese ha festeggiato gli 80 anni della “sua” Stella Azzurra Roma, una società di cui è stato presidente ed esponente storico e che resta un punto di riferimento per tutto il basket, modello da seguire (l’ultimo prodotto del suo vivaio è Fabio Spagnolo, il giovane talento pugliese da un anno al Real Madrid e che ha da poco esordito in Nazionale a Napoli). Ma il nome di Luciano Acciari (nella foto a destra con Toto Bulgheroni e Gianluigi Porelli), oltre che alla Stella Azzurra Roma, resta legato ai cinque anni di una presidenza Lega che ha portato al basket crescita, consolidamento e successi. Il suo arrivo alla presidenza nel 1979 fu preceduto dall’arrivo in Lega di Claudio Coccia, il padre insieme a Giancarlo Tesini, allora alla guida della Lega Basket, della grande riforma che nel 1974 cambiò il volto e la geografia del nostro basket inventando la A2 e la A1 e portando il grande basket in piazze nuove.
“Credo di essere stato molto fortunato considerando che il periodo della mia presidenza ha visto il consolidamento della Lega ed una crescita rilevante del nostro sport. A quel tempo – dal 1971 al 1979 – ero presidente della Stella Azzurra che stava continuando a crescere come realtà a Roma dove eravamo riusciti a coinvolgere come sponsor un colosso come la Industria Buitoni Perugina, mentre la Lega era ancora un organismo alle prese con una crescita difficile ed assemblee estemporanee dove non si riusciva a mettersi d’accordo su nulla e ognuno sostanzialmente si muoveva per conto proprio. Al contempo si avvertiva la esigenza di una rappresentanza forte, di una guida che sintetizzasse le esigenze di tutti per indirizzarle verso un obiettivo comune che era la crescita del movimento. Questo anche perché quella visione unitaria era necessaria per far fronte alle nuove sfide: le richieste che arrivavano dalle società continuavano ad aumentare, il basket era divenuto lo sport di riferimento, insieme alla Formula Uno, per le aziende che volevano legarsi allo sport e lanciare il proprio marchio mentre il calcio ad esempio era ancora fermo solo alla sponsorizzazione tecnica. Tutto questo interesse andava regolato e canalizzato per non disperderlo. In quel momento i grandi club e parlo di Milano, Roma, le due bolognesi, Varese e Cantù decisero che era giunto il momento di strutturarci. Così nacque l’ingaggio di Claudio Coccia con un ruolo ufficialmente di consulente ma in pratica di commissioner all’americana: aveva lasciato la Federazione, era stato in lizza per la presidenza del Coni, era un dirigente di riferimento dello sport italiano, in poche parole era il migliore sulla piazza, il più capace di tutti. Lo convincemmo a venire a Bologna a ricoprire quel ruolo da professionista e con un importante sforzo economico da parte dei club. Era la prima volta che accadeva ma anche quello servì ad attribuirgli piene deleghe: inutile pagare tanto una persona e poi non permettergli di lavorare in autonomia. Successivamente all’arrivo di Coccia i club mi chiesero di diventare il presidente con obiettivo di un netto cambio di marcia per consolidare la crescita del basket nazionale”.
Si partì per un quinquennio da ricordare: “Anzitutto con un lavoro proficuo, sempre di intesa con la Federazione che ci aveva riconosciuto nell’ambito dello statuto federale. Io ero fautore di una Lega sempre più autonoma ma al contempo inserita nel’ambito di una compartecipazione con la Fip, interprete di una politica di accordo mentre vi era chi come Porelli aveva una visione più radicale. Ma insieme trovammo sempre la giusta sintesi per la svolta e proseguire sulla strada che Coccia aveva già tracciata alla guida della Fip insieme a Tesini varando la grande riforma alla cui stesura partecipai anche io come presidente della Lega di Serie B. A quel punto non potevamo più tirarci indietro e partimmo, con l’obiettivo anzitutto di rafforzare anche la nostra struttura e in quello Porelli fu davvero lungimirante: nacque così l’acquisto dei locali della nuova sede della Lega a Bologna nelle Torri della Fiera dove investimmo i proventi del contratto siglato con Rai”.
Una caratteristica che Acciari sottolinea di quei tempi era “la grande partecipazione dei proprietari alla vita della Lega: io e Coccia insistevamo perché i nostri interlocutori non dovevano essere i general manager ma i proprietari. Ricordo una presenza costante di Gilberto Benetton e Valter Scavolini, di Roberto Snaidero, di sponsor come Cavalli della Simac dell’Olimpia Milano oltre ad Allievi e Bulgheroni, proprietari rispettivamente dei club di Cantù e Varese, da sempre partecipi delle attività della Lega, che volevano contribuire attivamente alla crescita. Nacquero così le grandi scelte strategiche: nuovo regolamento che disciplinava le modalità di ammissione al campionato, le regole di comportamento comune all’interno della Lega ed i rapporti con gli altri organi nell’ambito della Federazione. Si stabilì anche definitivamente la sede a Bologna, sia per l’equidistanza tra i due poli di Milano e Roma, che quale riconoscimento del ruolo che le società bolognesi ed i loro dirigenti avevano svolto e svolgevano per lo sviluppo ed il consolidamento dell’idea stessa della Lega. Si decise anche la costituzione del consorzio Sobasa, cui partecipavano tutte le società di Serie A, che permise di disporre di uno strumento che snellisse le procedure e le permettesse di avere maggiore operatività: da lì passava la gestione dei contributi associativi e di tutte le attività commerciali, come l’accordo con Rai e quello anche con Canale 5 che trasmetteva una gara in differita alla settimana”.
Va ricordato che in quegli anni vigeva ancora il monopolio della diretta da parte della RAI. Un altro aspetto importante fu l’impegno diretto della Lega – previsto dal Regolamento – nella gestione degli stati di crisi che potevano attraversano e società: successe ad esempio con la seconda squadra milanese, la Pallacanestro Milano.
“Nel regolamento di Lega – continua Acciari – era prevista una fase di gestione di una eventuale crisi di un club grazie ad un meccanismo che contemplava l’intervento della Lega in fase commissariale anzitutto per la salvaguardia della regolarità del campionato e dei cartellini e favorire così il passaggio di consegne il più indolore possibile per evitare di perdere il diritto sui giocatori. Coccia diventava una sorta di commissario dei club in difficoltà e anche questo è significativo di come la Lega venisse considerata un organismo super partes e capace di gestire le crisi”.
Una Lega proiettata verso il modello americano. Con parametri sempre più rigidi:
“Eravamo fermamente convinti che il diritto sportivo dovesse essere solo uno dei parametri ma non l’unico: ad esempio aumentammo l’importo della fidejussione, seguendo la traccia che era stata intrapresa con la riforma del 1974 che introdusse la A1 e A2 e che aveva permesso di portare nel sistema piazze come Genova, Trieste, Firenze, Brescia. Non derogando mai sulla capienza minima dei palasport a 3.500 posti che portarono “piazze” come Roseto e Perugia, Firenze e molte altre alla costruzione di nuovi impianti. Senza però mai lasciare soli i club alle prese con questo problema ma lavorando di concerto con le amministrazioni comunali che non potevano rischiare di perdere a cuor leggero un patrimonio della città lasciando che il club emigrasse a lungo in un’altra piazza. Quello che era necessario era essere credibili e fare rispettare le regole, farci vedere come una Lega unita nelle decisioni di fondo. Senza avere mai paura di innovare: introducemmo ad esempio i canestri sganciabili per evitare inutili pericoli, mantenendo come principio fondamentale l’interscambio tra la A1 e la A2 che generava da un lato la possibilità teorica di vincere uno scudetto partendo anche dalla A2 nella stessa stagione e al tempo senza trasformare la retrocessione in A2 i una caduta nell’inferno ma semplicemente un temporaneo passaggio al piano di sotto in quella che era una unica serie. Tutto questo costituiva un formidabile richiamo e stimolo per aziende ed investitori dando garanzia di stabilità. Arrivammo anche a ipotizzare la creazione di un marchio pubblicitario di Lega da concedere agli sponsor e creare sempre più attenzione da parte del mercato industriale anche se in questo progetto non fu possibile coniugare le esigenze di tutti. Ma era comunque sempre un messaggio che lanciavamo, con l’idea che le grandi società che aiutavano le piccole per fare sistema. A livello di comunicazione nacque con Massimo De Luca, direttore dei servizi sportivi, la trasmissione ‘Tutto basket’ su Radio Rai, primo passo per una valorizzazione del campionato nella sua unitarietà e non delle società di vertice con l’obiettivo di una gestione unitaria dei diritti da mettere in comune. Un progetto che provammo a costruire con le emittenti televisive private, dove lanciammo contemporaneamente il progetto del rotocalco “Sottocanestro”, ma molti club avevano firmato individualmente contratti importanti economicamente con le TV e radio locali, fatto che rese impossibile concretizzare il progetto”.
Lo sguardo agli Stati Uniti e alla Nba porta ad un contatto diretto con la grande lega privata americana e alla nascita di nuovo format: “La Nba già a quel tempo mirava ad espandersi, a stabilire rapporti con i paesi europei per aggregarli al loro progetto, si pensava anche a qualche manifestazione da organizzare insieme: tutte idee che sfociarono poi più avanti nel Mc Donald’s Open. Nel marzo del 1984 ebbi anche un incontro con David Stern a New York, commissioner della NBA presso i suoi uffici, accompagnato da Bulgheroni, presidente di Varese, che aveva favorito l’organizzazione dell’incontro tramite il suo amico Jerry Colangelo, general manager di una delle società della NBA, i Phoenix Suns, e da Coccia. Fu il primo incontro ufficiale della NBA con una lega europea. Le società, i cui bilanci crescevano a vista d’occhio, chiedevano di giocare di più e per un periodo maggiore per aumentare la visibilità del campionato e con essa aumentare incassi dal pubblico e proventi pubblicitari. Allargammo il campionato a 32 squadre e ripristinammo la Coppa Italia. Nel 1982 inaugurammo l’All Star Game tra due selezioni dei migliori stranieri di A1 e d A2: ricordo che regalammo a tutti i giocatori un orologio come ricordo della partecipazione”.
Anche i risultati sportivi di quegli anni ci diedero molte soddisfazioni: l’argento olimpico nel 1980 a Mosca e il primo oro europeo per la Nazionale nel 1983, parallelamente a una Coppa dei Campioni che vedeva le squadre italiane finaliste fisse, addirittura con una finale tutta italiana nel 1983 tra Milano e Cantù. E poi la sfida metropolitana del 1983 tra Roma e Milano che portò al record di spettatori della storia ancora imbattuto.
Mentre Coccia garantiva la operatività quotidiana, Acciari gestiva una presidenza che lo vedeva a contatto continuo con i club, in ricerca del necessario consenso per continuare a garantire le riforme necessarie:
“Il mio compito come Presidente era di mantenere un sistema di consultazione continua con le società che ci permettesse di portare alla approvazione in Assemblea di proposte già discusse e su cui vi era già una convergenza di massima, facendo sentire tutte le 28 squadre, poi diventate 32, partecipi. Per favorire questo senso di partecipazione e di coinvolgimento di tutte le società organizzavo riunioni territoriali ristrette alle società aventi sede nell’area, preparatorie delle assemblee per ascoltare le esigenze delle società ed i rispettivi punti di vista sui diversi temi in discussione. Sempre con lo stesso obiettivo facemmo ricorso anche ad una diversa disposizione della nostra sala in cui si svolgevano le Assemblee nella nuova sede: prima di questo periodo in cui eravamo costretti a tenere le nostre riunioni in un albergo, si organizzavano le riunioni con la tradizionale divisione tra il tavolo di presidenza e la platea dove sedevano i club. Con la nuova sala assemblea eravamo invece tutti sullo stesso piano, intorno allo stesso tavolo, uguali e coinvolti. E il senso di appartenenza e di partecipazione aumentò significativamente. Ricordo una presenza pressochè totalitaria a tutte le riunioni con livello elevato di condivisione e una sostanziale assenza di polemiche sia interne che esterne”.
Un lavoro di cinque anni che lasciò il segno e concluso nel 1984: “Decisi che era arrivato il tempo per tornare a dedicarmi alle mia attività: eravamo tutti volontari, a parte Coccia, e pensai che era l’ora del ricambio dopo essermi messo a disposizione dei club. I quali inizialmente mi chiesero di restare, lo steso Coccia insisteva ma gli dissi che era tempo di pensare ad un sostituto e che ritenevo chiusa la mia esperienza. Si avanzò la candidatura di Ezio Giorgi presidente del Lazio Basket poi, in una successiva riunione, il presidente della Reyer Venezia Lelli ci informò della disponibilità di Gianni De Michelis, allora Ministro ed esponente di spicco del Partito Socialista. Era un momento in cui il mondo della politica cercava di entrare sempre più nello sport, come dimostrava anche il volley che chiamò alla guida della sua Lega un esponente della DC, Luigi Fracanzani. Su queste due candidature la Assemblea di divise in due con ridottissima maggioranza a favore di De Michelis che in una prima votazione raggiunse 16 voti contro i 15 di Giorgi. Uscimmo dalla riunione e chiedemmo allo staff di De Michelis se era comunque disponibile ad accettare l’incarico anche di fronte ad una maggioranza così esigua. La disponibilità fu confermata e così De Michelis fu successivamente eletto presidente”.