A Davide Moretti brillano gli occhi quando parla del padre Paolo e del legame cestistico, speciale, che li unisce. L’amore per i canestri è nato con lui, nelle sere trascorse sul divano di casa ad ascoltare storie, racconti di quando Paolino Moretti incendiava i canestri di tutta Europa. A 22 anni, alla prima stagione a Milano, il piccolo Moretti ha alle spalle esperienze di vita che lo rendono maturo oltre i suoi anni. E’ un ragazzo che ha lasciato casa quasi da bambino per inseguire un sogno, che l’ha portato a Lubbock, Texas, per tre anni durante i quali ha conosciuto il brivido forte di una finale NCAA persa in modo rocambolesco. Qui Davide si racconta.
L’influenza del padre – “Ha inciso tantissimo. Da piccolo guardavo con lui le sue videocassette, quando giocava a Bologna, i derby, mi raccontava gli aneddoti. La mia passione è nata su quel divano, così la voglia di emularlo, di essere come lui, di batterlo. Ho ancora il quaderno in cui scrissi tutti i suoi trofei, i record, e accanto mettevo più uno perché volevo batterlo. La sua influenza e il suo passato hanno inciso tantissimo su di me”.
La percezione di cos’era il padre da giocatore – “Ho un’idea, ma mi sarebbe piaciuto vederlo dal vivo. Avevo solo due anni quando decise di ritirarsi, quindi non ricordo nulla. Ma da quello che sento, che mi racconta la gente, e il poco che ho visto, penso di sì, di avere un’idea precisa”
La scelta di andare in America – “Ho voluto rimettermi in discussione, pensavo di non essere un giocatore fatto e finito. All’età 18 anni pensavo che la mia carriera dovesse ancora cominciare, volevo migliorare, e volevo farlo sotto tutti i punti di vista, sia umano che come giocatore. Quindi mi sono rimesso in gioco, ho deciso di scommettere su me stesso, investire su me stesso. Mi sono detto che negli anni successivi avrei solo pensato a migliorare e diventare il giocatore più forte possibile”.
L’adattamento agli Stati Uniti – “E’ stato difficile all’inizio, non parlavo bene la lingua, dovevo scoprire un mondo nuovo, lontano da casa, una nuova cultura. Per qualche mese ho vissuto nella mia bolla, ho fatto fatica a interagire con le persone, non riuscivo a fare un discorso fluido, e così mi chiudevo dentro me stesso, rifugiandomi nei miei affetti. Sbagliavo, perché avrei dovuto aprirmi e farmi avvolgere da quella cultura. Poi dopo qualche mese le cose sono andate sempre meglio e alla fine mi sono ambientato alla grande”.
Il salto di qualità dopo il primo anno a Texas Tech – “Il primo anno è stato molto difficile. Sono sincero: ero quasi tentato dall’idea di tornare a casa, sono stato vicino a mollare e tornare indietro. Poi mi sono convinto di rimanere, che quello era il posto giusto per me. In estate mi sono allenato tutti i giorni, mattina e sera, sono rimasto a Texas Tech due mesi e altre due settimane ad agosto. E’ stato un periodo importante, sono cambiato e sono diventato il giocatore di ora proprio grazie al lavoro svolto in quell’estate”.
L’esperienza di giocare una Finale NCAA – “E’ incredibile, anche a distanza di due anni faccio fatica a trovare le parole per descrivere un’esperienza unica. Giocare davanti a così tante persone non capita nemmeno alle Olimpiadi, è unico, ho ancora i brividi se ci penso. Ancora non ho riguardato la finale con Virginia, per quanto mi ha fatto male essere arrivato così vicino a coronare un sogno che poi era il sogno di tutti quell’anno. Ma mi sento fortunato ad averla vissuta quell’esperienza”
Brucia ancora quella sconfitta? – “All’inizio, per mesi, forse per un anno, la sconfitta ha solo bruciato. Ho pensato a cosa avremmo potuto far meglio, ci sono stato male. Dopo ho capito che comunque è stata un’esperienza fantastica, che mi ha cambiato, aiutato e ricordo soprattutto il bello che questa esperienza mi ha lasciato”.
Le aspettative per questa stagione – “Voglio dare una mano, portare il mio mattone, dare il 100 percento ogni volta che andrò in campo, aiutare la squadra a vincere più partite possibile. Questo penso di poterlo fare ogni volta che avrò questa opportunità”.
Cosa può imparare dalle altre guardie dell’Olimpia – “Tantissimo. Dal momento in cui entriamo in spogliatoio o in campo cerco di captare anche la minima cosa da ragazzi cui mi ispiro. Vorrei diventare molto simile a loro un giorno, quindi cerco di imparare tutto quello che posso. Quello che fanno cerco di copiarlo, quello che mi dicono lo assorbo”.
Il primo impatto con Milano – “L’ambientamento è ancora in atto, ci sono tante cose in cui devo migliorare, ma è un inizio e sono contento di quello che ho fatto, per quanto voglia continuare a migliorare e farlo giorno dopo giorno”.
Comunicato a cura di Ufficio Stampa Olimpia Milano.