La squadra di pallacanestro Ostia Warriors è una nuova realtà nel mondo dello sport e della solidarietà italiana. Nata a Giugno 2019 e composta da giocatori professionisti e semi-professionisti del basket, provenienti da diverse squadre italiane ma tutti originari di Ostia (Roma), si adopera per eventi di solidarietà a favore di cause sociali. Il loro debutto a luglio di quest’anno al PalaAssobalneari di Ostia ha ottenuto grandi apprezzamenti negli ambienti dello sport e solidarietà, temi per cui si prodigano.
Con questa rubrica vogliamo entrare un po’ di più nel mondo di questa nuova realtà sportiva e sociale che ha tanto da dire e da fare, intervistando le varie individualità che la compongono. Per la nona puntata abbiamo raggiunto Francesco Manzotti, classe 1989 di Ostia, che subito prima del lockdown, come vedremo poco più avanti, era tornato in Italia firmando in Serie C Silver Lazio con le Stelle Marine Ostia, dopo un periodo vissuto in Francia con UCLA-Union Sportive Azergoise.
Francesco, come stai vivendo questo periodo di emergenza da atleta?
“Lo sto vivendo con serenità e razionalità, cosciente del fatto che bisogna seguire delle regole comuni per il bene della società e del proprio paese. Come atleta, approfittando dei mezzi informatici moderni, seguo vari video-tutorial inerenti ad allenamenti fatti a casa, ma anche consigli sulle diete da seguire. Tuttavia la mancanza di un campo da gioco dove potersi allenare durante la settimana ha pesato particolarmente durante la quarantena“.
Cosa significa per te essere nella squadra degli Ostia Warriors e che valore aggiunto pensi di portare?
“Significa prima di tutto essere apprezzato e riconosciuto come giocatore valido e competente da chi vive la pallacanestro da anni a Ostia che, nonostante il numero elevato degli abitanti, è comunque uno dei molti municipi di Roma, una piazza che viene troppo spesso viene sminuita, dimenticandosi che da sempre sforna talenti nel basket apprezzati in tutta Italia, qualsiasi sia la categoria di appartenenza.
Riguardo al valore penso di portare alla squadra, spero di poter convogliare l’esperienza che ho accumulato sui campi, ma anche al di fuori di essi (Università, Erasmus, etc) all’interno del progetto Ostia Warriors, arricchendo un gruppo che lavora in maniera serena seguendo sani principi, con uno sguardo sempre rivolto a chi è meno fortunato di noi“.
Come vedi il progetto Ostia Warriors nel mondo del basket romano e in generale nel mondo dello sport italiano?
“Si tratta di una novità e in quanto tale va seguita con attenzione, senza etichettarla in maniera sbagliata. Visto che durante questo periodo di quarantena, noi Ostia Warriors siamo stati molto attivi online con interviste video a vari personaggi della pallacanestro italiana, io mi sono improvvisato Flavio Tranquillo (probabilmente non ci sono riuscito) e la domanda che molti intervistati mi hanno rivolto è stata: che campionato fanno gli OW?
Allora, approfitto per precisare che non si tratta di una squadra “normale”, iscritta a campionati nazionali o regionali, ma di una squadra composta da atleti nati e cresciuti nelle due società rappresentative di Ostia, Stelle Marine e Alfa Omega, che durante l’estate si ritrovano insieme per giocare partite vere contro selezioni di alto livello, ma anche contro squadre regolarmente iscritte a campionati FIP. Durante la stagione agonistica, invece, visto che siamo impegnati con i rispettivi campionati e il lavoro, organizziamo eventi sempre per il fine per cui siamo nati.
Se non fosse chiaro, parliamo di beneficenza. Poter creare e partecipare ad eventi di interesse sportivo di alta qualità, che poi vengono trasformati in aiuti concreti per i più bisognosi rende più umani tutti quanti, da chi gioca la partita in campo a chi viene solamente a vederla“.
Fino a poco prima di Natale giocavi all’estero. Parlaci di questa tua esperienza.
“A Lione, in Francia, giocavo in una serie che in Italia potrebbe essere equiparata grosso modo ad una C Gold. Citando uno degli insegnamenti dei miei genitori (entrambi ex cestisti), una delle cose che unisce i popoli a prescindere della loro cultura, lingua e provenienza è lo sport. Ho provato sulla mia pelle cosa significa essere lo “straniero” che si deve rapportare alla vita di un’altra comunità con ritmi, abitudini e costumi diversi da quelli che conoscevo.
L’integrazione è però avvenuta in maniera più veloce e meno complicata di quello che mi aspettavo, proprio grazie al basket, che mi ha permesso di creare legami e generare i giusti sentimenti di tranquillità e serenità, essenziali per inserirsi in un contesto diverso dal tuo“.
Sei poi ritornato in Italia e poco prima del lockdown eri entrato nelle Stelle Marine.
“Nella parentesi di mercato invernale, le Stelle Marine mi hanno offerto la possibilità di tesserarmi. Era ormai più di un mese che mi allenavo sul loro campo e cosciente che stavano facendo un buon campionato, ho colto al volo l’occasione: appena rientrato in Italia avrei giocato per una contender alla promozione in C Gold. Ho molto apprezzato lo sforzo fatto da tutta la dirigenza per tesserarmi, nonché la fiducia di coach Pasquinelli nell’inserirmi in un gruppo che alla fine era già sufficientemente completo e competitivo.
Purtroppo, visto il lockdown, ho potuto giocare solamente in due partite, per di più fuori casa, una molto importante contro il Vis Nova, vinta a casa loro. Non so se avremmo fatto il salto di categoria, ma come tutti gli altri giocatori d’Italia, ho subito le conseguenze della fine dei campionati, accettandole in maniera razionale. Non sono amante dei “se” o dei “ma”. È andata così“.
Quali sono le tue ambizioni e aspettative per la prossima stagione?
“Portare a termine gli obiettivi che mi sono prefissato tornando in Italia come prima cosa, e poi guardare al futuro in maniera positiva. Mi piacciono i progetti con target ambiziosi, che siano un salto di categoria ma anche di qualità per un settore giovanile, ad esempio. Vedremo.
Questo periodo di sedentarietà forzata ha fatto riflettere molti, me incluso, sulla natura di molte cose, basket compreso ovviamente, portando a delle considerazioni sul vivere insieme all’interno di una comunità, che nel nostro ambito sportivo è riconducibile alla palestra.
Di base non amo gli individualismi, tanto meno sul campo (è pur sempre uno sport di squadra) e quando potremmo tornare a giocare in maniera “normale” sarà responsabilità di tutti, da chi fa minibasket dalle 16 fino ai senior la sera tardi, rispettare le regole del centro sportivo, in modo tale che tutti possano accedervi e giocare allo sport più bello del mondo“.
Ringraziamo per la disponibilità Francesco Manzotti e la società Stelle Marine Ostia. Foto a cura di Rossella De Maria, Team Manager & Founder degli Ostia Warriors.