La Stella Azzurra Viterbo è una realtà importante nel panorama cestistico della Regione Lazio. Una squadra alla quale l’interruzione prima e la sospensione definitiva poi dei campionati ha lasciato molto amaro in bocca. Con sette giornate ancora da giocare nella regular season della Serie C Gold Lazio, la formazione viterbese occupava la vetta della classifica (38 punti in 23 partite), in coabitazione con la IUL Basket Roma. La Redazione di Tuttobasket.net ha avuto il piacere di rivolgere delle domande ad Umberto Fanciullo, head coach della Stella Azzurra ormai da sette anni.
Allora coach, come sta e in che modo sta passando questa lunga quarantena?
“Bene sicuramente, anche perché le nostre zone di certo non sono state colpite in maniera particolarmente grave dal Coronavirus. È stato un periodo molto lungo, specialmente per chi come noi è abituato ad avere una vita particolarmente attiva. Il momento iniziale è stato di totale confusione, nel quale provavamo a capire se, come e quando si sarebbe potuti ripartire. L’incertezza, il non capire cosa sarebbe successo, è stato molto destabilizzante; questo almeno fino alla decisione di Petrucci di sospendere definitivamente i campionati. Nel momento in cui abbiamo avuto questa certezza, pur a noi poco gradita, ci siamo messi l’anima in pace e abbiamo provato ad investire il tempo in formazione, studio e quant’altro. Il tutto, chiaramente, abbandonando la parte attiva“.
Quali iniziative, invece, avete intrapreso nei riguardi della squadra?
“Finché c’è stata una situazione di stand by, ci sentivamo quotidianamente soprattutto per non interrompere un certo discorso dal punto di vista fisico; a stretto contatto con me, con lo staff e con la nostra preparatrice atletica abbiamo inviato dei programmi individuali di lavoro, da poter svolgere a casa. Quindi, nel momento in cui c’è stata la chiusura ufficiale della stagione, pur continuando a rimanere in contatto con i ragazzi e a seguirli abbiamo ovviamente ordinato il ‘rompete le righe’. Dal punto di vista societario, inoltre, hanno cercato di sostenerli per quel che riguarda il contributo statale per il rimborso. Infine ci siamo dati appuntamento alla prima data utile per capire come ripartire il prossimo anno“.
A proposito della decisione di dichiarare anzitempo conclusa la stagione, che opinione si è fatto al riguardo?
“Onestamente parlando, non credo potesse esserci una decisione alternativa. Al di là del rammarico di chiudere una stagione da primi in classifica e con prospettive positive per il seguito, quello che più ci snervava era il non sapere, come ho detto prima. Perché poi se si riparte dopo uno o due mesi, non si sa come riprenderai, soprattutto in quali condizioni fisiche e mentali. Le incognite sarebbero state tante, anche perché i nostri campionati, pur semi-professionistici, hanno molte società che giocano in strutture scolastiche. A mio modo di vedere, dunque, non c’erano proprio le condizioni per tornare in campo. Continuare a tenere tutti appesi ad una piccola speranza era soltanto dannoso, per cui ho apprezzato la decisione. Seppur, ripeto, a livello sportivo ci ha lasciato non poco amaro in bocca“.
Parliamo appunto dell’annata della Stella Azzurra Viterbo.
“Stando ai risultati, era chiaramente una stagione molto positiva. Guardando ai budget delle società partecipanti al nostro campionato, noi non eravamo di certo quelli che l’avevano più consistente, oltre a non avere affatto i favori del pronostico. Venivamo da una stagione nella quale non eravamo nemmeno riusciti ad accedere ai Playoff, ragion per cui, soprattutto all’inizio, le prospettive erano alquanto differenti. Il nostro obiettivo era quello di consolidare il gruppo di ragazzi di Viterbo, per poi provare ad inserire giocatori che da un lato avrebbero innalzato il livello tecnico della squadra, e dall’altro avrebbero aiutato i viterbesi a crescere. A differenza di altre stagioni, nei quali si è fatto qualche movimento non proprio avveduto, quest’anno ci siamo mossi differentemente e, fino all’interruzione, direi che ci stava dando ragione. La crescita dei ragazzi delle giovanili e di quelli che negli anni scorsi trovavano meno spazio è stata esponenziale“.
Questa è una fase molto difficile per il basket italiano. Secondo tanti, è il momento giusto per riformare profondamente il movimento. Secondo voi, quali dovrebbero essere le basi da cui ripartire?
“Beh, è una domanda abbastanza difficile. Dal mio punto di vista, credo ci sia da fare una riflessione importante rispetto ai costi dell’attività. Da quel che sento in giro, tutto comincia e finisce nel discorso economico; si parla di parametri, di abbattimento dei costi di tesseramento, di tasse gara e di altro… Tutto giusto, ma se ci si concentra solo su questo, si tralasciano altri aspetti altrettanto importanti, vale a dire la programmazione e la crescita dei giocatori, intesa come crescita della cifra tecnica. Finora l’aspetto economico è stato assolutamente preponderante. Tu società facevi dei budget annuali, dati dalle disponibilità del momento; in base alla consistenza, potevi avere annate nelle quali costruivi squadre forti ed altre dove invece non potevi farlo.
In questo momento, per me, più che di spendere c’è la necessità di investire le risorse a disposizione, anche tralasciando per un po’ quello che è il risultato nell’immediato. Se c’è la possibilità di investire sul settore giovanile o su un bravo coach, sempre del settore giovanile, ritengo che questo sia il momento opportuno per farlo. Sembra una frase fatta, ma bisogna trasformare questo momento di crisi in opportunità. Secondo me non si può pensare di abbassare i costi semplicemente perché si abbassa il potere economico delle società, a causa degli sponsor che risentiranno di questo momento storico, continuando ad agire come prima. Bisogna rivedere il concetto di ‘risorsa’, pensando più a quelle umane (staff, giocatori e dirigenti) che a quelle economiche“.
Tenendo presente la congiuntura attuale, come vede il prossimo futuro della Stella Azzurra?
“Prima parlavo del nostro voler far crescere i ragazzi di Viterbo. Ecco, questo ci da la serenità di poter, appena possibile, ripartire da un nucleo di giocatori che hanno dimostrato di essere in grado di tenere la categoria; in una fase economica come questa, ciò da una tranquillità maggiore, anche rispetto alla tipologia di campionato che andremo ad affrontare. Sicuramente c’è la volontà della società di continuare ad investire in quei campionati giovanili di eccellenza che abbiamo affrontato lo scorso anno, in modo da provare già ad inserire qualche sedicenne o diciassettenne nel giro della prima squadra. E, nel momento in cui potrebbe esserci anche un budget che ci consenta di provare a prendere qualcuno da fuori, agire per trovare giocatori capaci di far crescere il movimento locale e di farlo su base pluriennale. Secondo me, tenere a Viterbo dei ragazzi solo per un anno, tanto per, è rischioso se non inutile, soprattutto in vista di una stagione che si annuncia come di transizione“.
Negli anni, lei si è dimostrato un allenatore molto attento alla preparazione ed alla crescita dal punto di vista personale e professionale. Negli ultimi mesi, a tal proposito, è stato anche a Madrid (presso il Real, ndr). Cosa vi hanno lasciato tutte queste esperienze?
“Da una parte il tipico pensiero ‘Ah, se le avessi fatte qualche anno fa adesso sarei sicuramente un allenatore migliore’. Dall’altra, però, ragioni anche sul fatto che se capitano adesso queste esperienze, è perché adesso dovevano capitare. Al di là del lavoro quotidiano in palestra, dell’esperienza al Real e di quella con vari siti specializzati, alla fine mi rendo conto che c’è una grande volontà di condividere, una necessità. Il nostro movimento fa una grande fatica nel provare a sperimentare, c’è paura nel tentare strade nuove, nel rivedere le proprie posizioni, sia quando le cose vanno bene sia quando vanno male. Personalmente, io cerco sempre di pormi domande, mettermi in discussione; nel corso della carriera acquisisci delle certezze le quali, però, se interpretate come dogmi, alla fine non ti permettono di andare avanti.
La pallacanestro è un gioco in continua evoluzione e basta uscire un po’ dall’Italia per capire che ci sono tanti modi diversi di approcciare alla pallacanestro stessa. Perciò bisogna provare, cambiare, rinnovare se ci riesci, poiché paradossalmente a tornare indietro si fa sempre in tempo. Importante è anche la capacità di calarsi nel contesto in cui lavori, nella sua mentalità. Seguire per una settimana le giovanili del Real Madrid, al momento con tutta probabilità il miglior settore giovanile d’Europa, e poi tornare a Viterbo e pensare ‘Eh, ma tanto quello è il Real, qui a Viterbo quelle cose non si possono fare’, di base credo sia sbagliato. Mi spiego, è ovvio che non si possa trasportare il sistema Real a Viterbo; ma si può provare a prendere tre o quattro elementi di quel sistema, a livello di metodologie, stimoli e di organizzazione, sperimentando una crescita“.
Chiusura dedicata a The Last Dance. Cosa ne pensa?
“Come la gran parte degli appassionati, anche io sto seguendo questo documentario e posso dirti che mi ha fatto uno strano effetto. L’era Jordan l’ho vissuta da antagonista, non tifando MJ e i Bulls. Per cui inizialmente non dico che fossi scettico, ma ho cominciato a guardarlo con la giusta distanza di colui che ha sempre tifato contro. Dopo tanti anni, ricalandoti in quella mentalità, capisci invece che sei stato fortunato, avendo vissuto in prima persona la carriera del giocatore probabilmente più forte, ma che certamente ha cambiato totalmente la percezione del Gioco. Sotto un altro punto di vista, non ho ancora inquadrato per bene quanto ci sia di romanzo, di adorazione per il personaggio, e quanto lui sia stato calato nella vita di tutti i giorni di quella squadra. Detto ciò, probabilmente è il miglior documentario sportivo che io abbia visto in vita mia, puoi farti un’idea anche non avendo vissuto i fatti in prima persona.
Nel mio caso, rimette a posto un periodo, un personaggio così importante per questo sport, di fatto la mia vita, come una sorta di chiusura del cerchio. Credo sia come con lo psicologo. Ti dicono che è inutile andarci, tanto la colpa è sempre dei genitori; in questo caso Michael è il genitore della pallacanestro, e ti rimette a posto un po’ tutto. Ti fa pensare il perché tifi per Kobe, per LeBron, per Durant o per Curry; parte diciamo tutto da lì. All’epoca, la prima riflessione che ho fatto era ‘Mi piacciono tanto i giocatori tecnici, casomai fisicamente ‘sfigati’ ma che sanno giocare a pallacanestro’; mi sono quindi reso conto che una parte di questa riflessione era dovuta al dominio che Jordan imponeva a tutti gli avversari. Visto che come lui non avrei mai potuto diventare, mi concentro sui fondamentali. Ripeto, The Last Dance ti mette di fronte alla genesi della tua pallacanestro“.
Si ringraziano per la disponibilità coach Umberto Fanciullo e la società Stella Azzurra Viterbo. Foto a cura di Erika Orsini.