Di Rossella De Maria e Gianluca Zippo.
Dire Claudio Cavalieri è dire basket giocato ad alti livelli. Del giocatore e dei suoi traguardi si sa tutto, ma non tutti sanno che da qualche anno Claudio ha intrapreso un percorso da coach in Sicilia con ambizioni e risultati non da poco. In questa intervista Claudio ci parla della sua Fortitudo Messina, dei progetti umanitari, del suo percorso da allenatore, ma anche di Messina e Pozzecco, di suo figlio Simone e di tantissimi altri grandi giocatori e coach del basket italiano.
– Claudio come nasce il progetto Fortitudo Messina?
“La Fortitudo Messina nasce nel 2017 da una idea condivisa con 5 amici. Io, Mento, Giovani, Di Bella e Squillaci. Da subito abbiamo capito che avevamo un grandissimo potenziale. E infatti in soli 5 anni siamo saliti in C Gold. Bruciando le tappe, siamo riusciti a portare a casa tre promozioni su campo, ma soprattutto a far crescere il nostro settore giovanile“.
– In realtà anche tu hai giocato nella tua prima squadra.
“Si. A dire il vero avevo già smesso di giocare, ma la voglia di far crescere questo progetto era tanta e quindi ho fatto la serie D e mi sono tolto l’ultima soddisfazione da giocatore, portando la nostra Fortitudo in C. Ovviamente ero in un team di bravissimi giocatori, che hanno creduto in noi. Abbiamo riformato un gruppo storico che a Messina era stato importante. Vedi Centorrino, Adorno, Bonfiglio, Joppolo e tanti altri. Non da ultimo un ragazzo giovane, Roberto Bellomo, che ora è il nostro capitano, vera e propria anima del nostro progetto e giocatore di spicco. Un capitano serio, che trasmette passione e professionalità e nonostante non voglia fare il professionista, quest’anno in CGold è stato il terzo miglior realizzatore“.
– Una volta saliti in C, come avete affrontato l’impegno?
“Dopo la promozione in serie C, abbiamo inserito un tassello fondamentale, Giuseppe Merrino. Giuseppe è una persona eccezionale e di grande conoscenza cestistica. A questo punto io, Piero Mento e Giuseppe abbiamo cominciato a sognare traguardi più alti. All’organico si è unita Pina Oppedisano, fondamentale nella gestione degli atleti, e Daniela Camardella, aiuto prezioso“.
– A questo punto, se non erro, passi in panchina come coach.
“Ebbene si: dopo l’abbandono al basket giocato, la dirigenza mi ha convinto ad allenare. Diventare coach non è stato facile. Essere catapultato in panca in modo diverso non è stato per niente una passeggiata, ma ho capito quello che davvero volevo fare. Io volevo creare una realtà fatta da giovani, per i giovani e far venir fuori i ragazzi. Siamo ancora agli inizi, ma abbiamo creato tre foresterie, abbiamo cominciato un reclutamento importante con atleti giovanissimi che ancora non avevano ancora goduto di visibilità, o meglio della giusta visibilità. Insomma, abbiamo creato un percorso importante fatto di sudore, duro allenamento e sogni da rincorrere“.
– Un programma ambizioso per un sogno da raggiungere.
“Veramente ambizioso, però abbiamo trovato giocatori in grado di assecondare le nostre pazzie. Gli abbiamo dato la possibilità di fare due allenamenti al giorno, abbiamo preso preparatori atletici di spessore e li abbiamo messi a lavorare con loro, abbiamo fatto in modo che avessero una palestra accessibile H/24. Da tutti questi sacrifici abbiamo ottenuto risultati entusiasmanti. Pensa che era il mio primo anno da allenatore e siamo andati in semifinale e siamo arrivati secondi con un gruppo di sbarbatelli“.
– Avete quindi puntato tutto sulle giovanili?
“Non solo. Abbiamo sicuramente iniziato da li, con U19-U17-U15 e U13, ma negli anni successivi ci siamo allargati con il minibasket e grazie all’innesto di Coach Fabio Marinaro il centro Fortitudo Messina ha incominciato a crescere“.
– E a questo punto alla tua Ostia hai chiesto uno sforzo, vero?
“Esatto. Un grandissimo sforzo, sia da parte nostra che da parte di un allenatore bravissimo con i bambini, Davide Deodati che ad Ostia stava un po’ in disparte. Abbiamo iniziato con grandi difficoltà, ci si è messo pure il Covid, ma ci siamo veramente impegnati per il minibasket con l’accoppiata vincente Marinaro & Deodati e Chiara Mento, un’altra istruttrice che stiamo facendo crescere nel migliore dei modi“.
– Quindi l’obiettivo della Fortitudo Messina è definitivamente puntare sui giovani.
“Indubbiamente. In questa stagione siamo stata una delle squadre più giovani del campionato CGold, dando visibilità a ragazzi del 2005-2004-2003-2002, soprattutto del nostro vivaio. Questa per noi è la vera vittoria“.
– Siete anche attivi nel sociale.
“Tempo fa abbiamo avviato un progetto per l’Africa e inoltre diamo la possibilità a ragazzi provenienti da paesi (ad esempio l’Ucraina) o da condizioni disagiate italiani e stranieri di poter giocare a basket facendo un percorso importante. Abbiamo assegnato delle borse di studio grazie al Collegio Sant’Ignazio, creando posti di lavoro, puntando anche alla crescita personale oltre che sportiva, ma soprattutto trasmettiamo condivisione ed aggregazione, quello che davvero dovrebbe essere lo sport sia per i ragazzi africani che per i nostri“.
– Come ti sei trovato da allenatore?
“Fare il coach non c’entra davvero niente con il mestiere di giocatore. È un lavoro duro, faticoso e soprattutto si parte da zero. Sono stato giocatore professionista da quando avevo 16 anni, ho fatto 21 campionati da pro, fra A2 e B1, ma fare l’allenatore è veramente un altro paio di maniche. Ma questo non mi spaventa, anzi mi da ancora più voglia di fare, mi fa tornare anni indietro come quando sono entrato per la prima volta in prima squadra in A1 con i coach Caja e Calvani e avevo solo tantissima voglia di imparare da buon rookie“.
– In questo progetto c’è anche tuo figlio Simone: il Cavalieri di domani?
“Molti mi chiedono di mio figlio Simone che è un play annata 2004. Con i suoi 195cm ha secondo me un buon potenziale, ma deve imparare tanto. In questa stagione, alcuni mesi fa, ci ha colpito duramente una grande tragedia con la scomparsa improvvisa e dolorosissima di Haitem Fathallah, un giocatore straordinario, un amico, un fratello per i nostri giovani e per tutti noi. Dopo questo lutto assurdo, Simone è stato catapultato in serie CGold. Mi sforzo di giudicarlo da coach e non da padre orgoglioso e devo ammettere che Simone mi ha dato tantissime soddisfazioni, facendomi vedere quella maturità cestistica che credevo ancora non avesse. Ha tenuto il campo, ma soprattutto ha dato sicurezza e tranquillità tecnica alla squadra. Tutto questo dopo la tragedia di Haitem, un momento per niente facile. Perciò gli faccio i complimenti, ma la strada è ancora lunga e deve ancora lavorare ancora tanto“.
– Come ti sei avvicinato al basket?
“Allora, va premesso che la mia era una famiglia di calciatori. Mio zio giocò nell’AS Roma, purtroppo poi ebbe un incidente stradale che gli fu fatale; mio padre era un vero talento, ma prese altre strade. Io mi avvicinai al basket perché nella mia scuola c’era questo canestro che mi incuriosiva. Poi divenne amore folle“.
– Quali sono stati i tuoi inizi?
“Cominciai a giocare con le Stelle Marine, in un gruppo fantastico classe 1978. L’allenatore di turno, però, disse a mia madre di farmi cambiare sport, poiché secondo lui non ero portato. Mia madre mi portò quindi all’Alfa Omega, rimanendo comunque legato al mio gruppo delle Stelle Marine, nemici in campo ed amici/fratelli. Nell’esperienza all’Alfa incontrai compagni di squadra unici e coach Braccalenti, che in seguito mi diede la possibilità di avere due grandi uomini al mio fianco, coach Marco Gabriele ed Agostino Manzotti. Loro due mi diedero fiducia e possibilità di sbagliare“.
– Che sensazioni hai provato nel momento di debuttare con i ‘grandi’?
“Mai provata troppa soggezione per loro, anzi. Ogni giorno era una sfida. Alla Virtus Roma mi sono allenato con giocatori del calibro del capitano Emiliano Busca, vero mentore e persona da cui prendere esempio per tutta la mia carriera, Boni, Iuzzolino, De Pol, Magnifico, Tonolli, Pessina ed altri ancora“.
– Nella tua lunga carriera hai girato praticamente tutto lo Stivale. Quale delle tue esperienze ha lasciato maggiormente il segno?
“La Virtus Roma ha segnato sicuramente il mio cuore, oltre a darmi la chance di poter esprimere le mie qualità, tramite un doppio tesseramento nella Tiber Roma, società piena di persone a me carissime. Gli anni in Tiber in Serie B mi diedero la possibilità di farmi conoscere; poi arrivò la Serie A a Messina. Il posto che, tra tutti, amo maggiormente? La ‘mia’ Cento, che continuo a seguire sempre, ogni settimana; lì ho passato anni meravigliosi, indelebili, che non scorderò mai. Segue Patti, dove ottenni la promozione; per professionalità ed organizzazione, invece, Casalpusterlengo del presidente Curioni. Diciamo che in ogni posto dove ho giocato ho lasciato un po’ del mio cuore, ma Cento rimarrà per sempre la mia squadra“.
– I momenti migliori e quelli peggiori della tua vita da giocatore di basket.
“Ho vissuto tanti momenti bellissimi. A 10 anni volevo fare il giocatore di basket e ce l’ho fatta, facendo sempre quel che sognavo di fare. L’esordio in Serie A, i campionati vinti, il diventare uno dei migliori marcatori della B1 dopo un certo Flavio Portaluppo, la Nazionale sperimentale. Potrei elencare tantissimi momenti unici, collegati ovviamente a compagni di squadra speciali come Binelli, Sabatini, Casadei, Antinori, Di Mauro, Fajardo e tantissimi altri. Per quel che riguarda il momento peggiore, la sconfitta in finale per la Promozione in Serie A con Cento contro Castelletto Ticino di coach Sacchetti e giocatori come Rusconi, Portaluppi e Conti. Ci sono stato male un’estate intera per la delusione“.
– Attualità: cosa ne pensi del chiacchierato avvicendamento sulla panchina della Nazionale tra Meo Sacchetti e Gianmarco Pozzecco?
“La Nazionale perde un grande Uomo prima che un bravo allenatore, ma inserisce un Uomo carismatico, che ha avuto l’umiltà quest’anno di mettersi a fare il secondo a Messina, uno dei più grandi allenatori d’Europa e non solo, esperienza importantissima per lui. Mi fa piacere anche vedere nello staff tecnico Peppe Poeta, bravissimo giocatore ed amico, a cui faccio un grosso in bocca al lupo. Fossi stato in loro, inoltre, avrei aggiunto allo staff di questa Nazionale un allenatore solo per i lunghi, un Augusto Binelli ad esempio. Credo che i nostri lunghi debbano tornare a lavorare in palestra e sui fondamentali. Una parola magica, quest’ultima, grazie alla quale un certo Doncic sta incantando in NBA. Tornando al Poz, ci ha abituato allo show sin dai tempi di Varese e chissà se Petrucci ci abbia visto lungo. Solo il tempo ci darà le conferme che aspettiamo. Intanto forza azzurri, viva i nostri ragazzi e il Poz, ma soprattutto tifiamo tutti questi sport, che è Vita“.
Si ringrazia Claudio Cavalieri per la grande cortesia e disponibilità.