Intervistato da Luca Aquino, Marco Ceron ha raccontato su “Corriere di Bologna e “Corriere del Veneto” tutto il percorso che lo ha riportato a segnare in campionato dopo la spaventosa frattura al cranio del 25 novembre 2018: “Per me quel canestro rappresenta molto anche se per altri magari è stato solo un canestro. È stato come mettere uno stop a un lungo digiuno e alle sofferenze che mi hanno accompagnato in questi anni. Un punto di ripartenza per il quale magari bastano piccole cose che però dentro di me sono significative”.
Anche perché dell’incidente Marco ricorda davvero poco: “Solo l’ospedale. Mi hanno raccontato che non riuscivo a respirare perché la lingua si era arrotolata su sé stessa ed è stata sbloccata del dottore in campo. Ricordo di essermi svegliato a letto in ospedale in tenuta da basket, non capivo cosa fosse successo poi l’infermiera mi dice che ho preso una botta e devo operarmi. Successivamente sono comunque stati anni lunghi, soprattutto perché tutto ha subito dei ritardi. Ho dovuto aspettare il secondo intervento perché non ero idoneo a tornare dopo il primo e non ero nemmeno in grado. C’erano pezzi del cranio non ancora ben saldi, anche col caschetto protettivo non sarebbe stato sicuro iniziare”.
Come fosse uno scherzo del destino, Ceron ha ritrovato alla Virtus Mam Jaiteh, ossia colui contro cui si era procurato la frattura: “Una bella storia. Se nella mia testa dovevo mettere un punto e ricominciare, la ciliegina sulla torta è aver ritrovato la persona con la quale è successo l’incidente, un cerchio che si chiude. Vederlo tutti i giorni in palestra e allenarmi con lui mi ha ulteriormente sbloccato. Forse è più signifi cativo che segnare un canestro”.
Infine, le ultime parole sono dedicate alla chiamata inaspettata della Segafredo in estate: “Mi ha lasciato senza fiato, non ci credevo. Ho pensato che un’occasione del genere non mi sarebbe capitata nemmeno se non mi fossi fatto male. Dopo tutto quello che ho passato, anche solo avere la possibilità di conoscere e vedere come lavorano certi campioni è una benedizione. Ai miei amici dico che essere in palestra con Belinelli e Teodosic è come fare un master per il quale vengo anche pagato. Prendete Beli: in camera mia a casa dei miei genitori ho ancora il poster di una sua schiacciata 360° che fece al PalaDozza con la maglia della Fortitudo”.
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